Orientalista partenopeo Esperto
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Conosco Mara Matta, autrice dell'analisi di cui si parla in questo articolo molto bello.
Che cosa resta di un viaggio della speranza
23 giugno 2013 — pagina 34 sezione: CRONACA
LAMPEDUSA È in fondo al mare africano? È ancora vivo? Ha raggiunto Londra come sognava o vaga sempre tra una frontiera e l' altra d' Europa con la paura nel cuore? Di lui apparentemente sappiamo poco - neanche il nome - ma in realtà ci ha consegnato la sua intimità più di quanto abbia voluto. Il passato l' ha segnato su otto fogli ritrovati tra i fumi di una discarica, in mezzo alle pietre e ai cani randagi dell' isola. Il cimitero dei barconi di Lampedusa. Erano avvolti in una busta di plastica, cucita con un filo invisibile sotto il risvolto di un paio di jeans incollati alla chiglia di uno di quei legni fradici che aveva appena attraversato il Mediterraneo. Otto pagine contenenti le tracce della sua esistenza, una vita tormentata descritta durante il lungo viaggio dal Bangladesh fino all' Italia. I suoi segreti sono ancora tutti lì, tra parole messe in fila confusamente una dopo l' altra come se volesse raccontarci qualcosa senza però svelarsi del tutto. Ci ha lasciato il mistero della sua fuga. E della sua sorte. A prima vista quella carta custodita gelosamente, quasi nascosta fra le pieghe dei pantaloni, sembrava un comune vocabolario, una guida dal bangla all' inglese, un primo soccorso per i migranti che sbarcano dall' altra parte del mondo. Termini facili, essenziali: pane, cibo, riso, caldo, freddo, acqua, sete, fame, cielo. Ma riga dopo riga e pagina dopo pagina si è rivelata una raccolta di voci a lungo pensate da un uomo che si è precipitosamente allontanato dal suo paese. Memorie trasformate in confessioni cifrate. La scoperta l' ha fatta Mara Matta, docente universitaria di Letterature moderne del sub continente indiano alla Sapienza di Roma che, aiutata da Sanjay Ghosh - un bengalese arrivato in Italia nel 1998 attraversando Russia e Ucraina, poi Ungheria e Slovenia fino a Trieste - ha tradotto anche in italiano gli otto fogli abbandonati sul barcone sfondato. Più che una trascrizione si è rivelata un' indagine psicologica, i traduttori sono penetrati nella mente dell' autore del glossario cercando di delinearne l' identità, interpretando tutti i segni e gli indizi lasciati dall' ignoto migrante. La decodificazione di ogni passaggio, le parole prima studiate una per una e poi "a grappolo", un' esplorazione che è diventata la ricostruzione dell' emozionante storia di un uomo sconosciuto. Per motivi politici o personali (o per entrambe le ragioni) l' emigrante senza nome ha abbandonato la sua patria per salvarsi la vita. Questo scritto, come tanti altri "resti" ammassati nelle pattumiere e tra le campagne arse dell' isola, è finito adesso in quello "spazio senza confini" che è il Museo delle Migrazioni di Lampedusa. È un' esposizione permanente per non dimenticare la grande tragedia del popolo degli sbarchi, un luogo che diventerà - come ricorda Giacomo Sferlazzo sul sito dell' Associazione culturale Askavusa ("a piedi scalzi", nel dialetto lampedusano) - «un punto d' incontro al centro del Mediterraneo che testimoni il passaggio di esseri umanie culture». Questo museo conserverà tutto ciò che è stato per anni gettato via come spazzatura. Avanzi di umanità al macero. Fotografie, agendine telefoniche, diari, scarpe, lettere d' amore, orsacchiotti di peluche, magliette, ciondoli, anelli, libri, felpe. Prima finiva tra i rifiuti ogni ricordo che - insieme a uomini e donne e bambini di ogni angolo del mondo- era spinto dalle onde fra Cala Madonna e Cala Galera, oggi nella collezione del Museo non ci saranno solo gli oggetti o i barconi ancorati sui moli di Lampedusa, ma anche i legni dei vecchi pescherecci mai giunti con il loro carico umano. Alberi, tavole, boe trasportate dalle correnti. L' isola è ritornata quella che è sempre stata nei secoli: terra di accoglienza. «Vogliamo collegare la storia di Lampedusa con tutti i movimenti del Mediterraneo, creare il museo con la partecipazione degli stessi protagonisti. E non soltanto accumulare le loro cose, i loro scritti, ma studiarli con loro, vedere cosa loro ci raccontano», spiega Giulio Cederna dell' Archivio delle memorie Migranti. Così sapremo di più delle loro vite, dei loro interminabili passaggi da un continente all' altro, di come molti non ce l' hanno fatta ad arrivare. Come quei diciannovemila morti affogati negli ultimi quindici anni, nel mare fra Al Zwara e le isole Kerkennah. E forse uno di loro è proprio quel profugo partito dal Bangladesh prima del 2001, unica traccia lasciata il suo glossario ritrovato nella discarica di Lampedusa. Dove è finito il suo viaggio? Quando? E quale era la sua destinazione finale? Nei fogli recuperati una delle parole citate è dracma, la valuta greca prima dell' euro. Qualche pagina dopo c' è scritto anche " Itali taka ", la moneta italiana, la lira. Dracma e lira datano a più di dodici anni fa la sua avventura e segnalano anche due diverse rotte intraprese dal bengalese, Grecia e Italia, due porte lontane. La prima è alla fine della via balcanica-turca, l' altra affaccia su quella nord-africana. Lui ha cambiato rotta, forse costretto dai suoi traghettatori. Voleva andare a vivere a Londra, come fa capire nelle ultime pagine del suo diario cifrato. Dove, all' improvviso, spariscono i termini generici di un dizionario e compaiono vocaboli in successione come "pericolo", "soppressione", "polizia", "giuridiche". E poi ancora "tortura", "avvocato", "colpa", "crimine", "offesa", "proibizione", "tremendo", "potente", "nascondere", "odio", "caos". Un cambio di marcia nella scrittura e nelle parole usate che fa affiorare tutte le paure del migrante venuto dal Bangladesh. Non c' è più la logica di un vocabolario bensì l' ansia di raccontare a qualcuno il dramma che sta vivendo. Da cosa stava fuggendo? Perché è stato costretto ad allontanarsi dal suo paese? Che cosa aveva fatto o di che cosa era stato incolpato? Le ipotesi che avanzano l' insegnante della Sapienza e Sanjay Ghosh sono due. La prima è che l' uomo sia fuggito per motivi politici e religiosi, perseguitato perché è un hindu (nelle sue carte ci sono alcuni richiami agli idoli, protismriti in bangla) braccato dai fondamentalisti islamici. Una partenza improvvisa per evitare vendette e con l' obiettivo di richiedere lo status di rifugiato. La seconda ipotesi è più privata. L' autore del testo lo fa intuire con una serie di altre parole citate. Una è "paraninfo" ( ghotok, in bangla), un mezzano di matrimoni. Dall' analisi del linguaggio si intuisce che lui è stato probabilmente protagonista di un' unione non andata a buon fine, ha sposato (o avrebbe dovuto sposare) una ragazza imposta dalla sua famiglia. E si è sottratto. Cita più volte anche le parole "giuramento", "offesa", "legge", ancora "tortura", "pericolo", "terribile", "morire". Una spirale di paura. «Questo testo sembra compilato e tradotto per aiutarsi durante possibili interrogatori con la polizia o con le autorità per richiedere asilo», spiega ancora Mara Matta che per settimane ha inseguito i pensieri e i turbamenti del migrante. Il suo glossario è diventato uno dei primi "documenti" del Museo dei Migranti di Lampedusa. Una testimonianza che non s' è persa nel mare. © RIPRODUZIONE RISERVATA - ATTILIO BOLZONI
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