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Le spalle di MARCO
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giovedì 15 novembre

Bersani, rispondeRai?
di Marco Travaglio


Dicono i retroscenisti che Bersani non ne volesse sapere del confronto in tv con gli altri candidati. E, vista la sua performance dell'altra sera, aveva ragione: ingessato, impettito, un po' scazzato, legnoso come chi ha inghiottito un manico di scopa, è stato forse il peggiore dei "Fantastici Cinque" (come li avevano definiti quei gran geni dell'ufficio stampa del Pd, che al segretario avevano riservato il ruolo, credibilissimo, di uomo-roccia). Alla fine si è rassegnato, ma ha imposto che il confronto andasse in onda non sulla Rai, ma su Sky per due motivi. Primo: l'ambiente gelido, asettico, quasi obitoriale della pay-tv. Secondo: la platea ristretta degli abbonati Sky, che avrebbe prevedibilmente fatto registrare un ascolto basso (infatti lo share del confronto è stato del 6%, che è un record per Sky, ma equivale alla metà o a un terzo di quello che si sarebbe totalizzato su Rai o La7). Bersani dev'essersi detto: se proprio devo mettermi al livello di concorrenti più dinamici di me, come Vendola e Renzi, che non devono ogni giorno tenere insieme un'Armata Brancaleone che va da Fioroni a Fassina, da Letta (Enrico, quello di destra) alla Camusso, strizzando l'occhio a Monti, Casini e Vaticano senza perdere per strada Fiom e Sel, e soprattutto cercando di evitare la solita telefonata mattutina di Napolitano con monito incorporato, beh, che almeno tutto avvenga lontano da troppi occhi indiscreti e da domande ancor più indiscrete. Dunque niente Fazio, niente Floris, niente Lerner, niente Mentana, niente (ci mancherebbe) Santoro. E perfino, per non scivolare sulla bava, niente Porta a Porta, dove pure Vespa rivendica ai politici il sacrosanto diritto di scegliersi i giornalisti. C'è però un piccolo problema: la Rai, anche se fa sorridere la sola idea, sarebbe il "servizio pubblico radiotelevisivo". Nel Cda siedono due rappresentanti in quota Pd, sia pur indicati dalla "società civile" (Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi). Il presidente e il direttore generale, due automi ectoplasmatici usciti dai caveau delle banche, li ha imposti il governo Monti, sostenuto anche dal Pd. Fra direttori di rete e di tg, fra i capi-struttura e i papaveri vari gli uomini del Pd sono un battaglione.
Così come nella commissione parlamentare di Vigilanza e nelle presunte Authority indipendenti di garanzia (per i partiti, naturalmente). Tant'è che nessuno si permette mai di infastidire il Pd con notizie o inchieste scomode (ve l'immaginate che sarebbe accaduto se Rai3 avesse riservato un trattamento Di Pietro a Bersani o all'Udc alleata di Crocetta proprio la domenica in cui la Sicilia stava votando?). Siccome tutti questi signori li stipendiamo noi con il canone, vorremmo sapere che cosa pensa Bersani della Rai pubblica e che cosa intende farne in futuro, visto che non la ritiene neppure in grado di organizzare un confronto fra i cinque candidati alle primarie e le preferisce la pur ottima tv a pagamento di Rupert Murdoch. La vuole privatizzare? La vuole commissariare, più ancora di quanto già non lo sia oggi? O la vuole mantenere così com'è, salvo poi delegittimarla alla prima occasione e lasciarla sul piano inclinato di una crisi sempre più irreversibile di contenuti, idee e bilanci? Ci piacerebbe tanto chiederglielo de visu -- a nome dei nostri lettori che sono anche in parte elettori delle primarie -- nel forum redazionale che gli avevamo proposto: purtroppo, diversamente da Renzi, Vendola, Puppato e Tabacci, Bersani non ha ancora risposto e forse non lo farà più. Naturalmente sarebbe pure interessante sapere che ne pensano, del mortificante ceffone subìto a opera del Pd, i vertici "tecnici" della Rai.
Ma non risulta che siano programmati a rispondere alle domande. Ci vuole un nuovo microchip che non è stato ancora inventato.




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MessaggioInviato: Gio Nov 15, 06:05:07    Oggetto: Adv






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venerdì 16 novembre

Petraeus e le cene eleganti
di Marco Travaglio


Da giorni il generale Petraeus occupa le prime pagine dei giornali, ma siamo ancora in attesa di un illuminante commento di uno dei nostri esperti di intercettazioni, privacy, presunzione d'innocenza e giustizialismo sullo strano caso del capo della Cia intercettato dall'Fbi e perciò costretto alle dimissioni. Quelli, per intenderci,
che da 15 anni raccontano che solo in Italia si fanno tante intercettazioni (6 mila su 60 milioni di abitanti contro le centinaia di migliaia degli Usa, per giunta incoltrollate perchè gestite aumma aumma dai servizi e dalle varie polizie, come ha spiegato bene Bruno Tinti),che non si può più telefonare in santa pace, che siamo uno Stato di polizia e che per lasciare una carica pubblica ci vuole prima una condanna definitiva. Dove sono i Polito, i Panebianco, i Galli della Loggia, i Battista, i Ferrara, ora che il loro paradiso terrestre manda a casa il capo della Cia che tradiva la moglie con la sua biografa? L'unico temerario che ha osato pronunciarsi è quel kamikaze di Piero Ostellino: gli altri, colti da improvvisa afasia, l'hanno rimasto solo. Ostellino, peraltro, non coglie il nocciolo del problema, infatti riduce il caso Petraeus che sta terremotando l'intelligence della prima potenza mondiale e lambisce il presidente Obama, a una storiella di corna. Sorvolando su un piccolo dettaglio: decine di migliaia di telefonate, sms e mail intercettate (30 mila solo quelle fra il generale Allen e Jill Kelley, amica di Petraeus), su cui la stampa e le tv di tutto il mondo si stanno avventando come piranhas, senza risparmiare alcun dettaglio, nemmeno il sesso sotto la scrivania. Infatti Ostellino, affranto e inconsolabile per le dimissioni del generale, scrive che s'è fatto inopinatamente "condizionare dalle convenzioni sociali di una società puritana che ha trasformato l'etica individuale in etica collettiva, contravvenendo alla separazione fra peccato e reato, fra Stato e Chiesa, fra sfera privata e sfera collettiva". Insomma, doveva tener duro: "Chi glielo ha fatto fare" di dimettersi? "Il senso di colpa, e di relativa oppressione, che l'adultero deve aver provato di fronte alla prospettiva della riprovazione generale che avrebbe suscitato la sua infrazione al codice coniugale". Una "manifestazione di bigottismo sociale tutt'altro che esemplare", che Ostellino ha ritrovato solo "in Cina": ecco, stiano attenti gli americani, perchè stanno diventando tutti comunisti. Il fatto che per mesi e mesi una signora, per giunta giornalista e scrittrice, abbia avuto accesso ai segreti più reconditi di Petraeus, e dunque della Cia, abbia maneggiato documenti riservatissimi e classificati, nell'oggettiva condizione di poter ricattare uno degli uomini più potenti d'America, non sfiora nemmeno il povero Ostellino.Eppure è proprio la ricattabilità,non certo il bigottismo del capo della Cia che, una volta scoperta dall'Fbi, l'ha condotto all'unico passo che poteva liberarlo da quella spada di Damocle.
Per la stessa ragione, fin dall'inizio dei casi Noemi, D'Addario e Ruby, qualche voce sparuta in Italia aveva osato chiedere a B. di lasciare Palazzo Chigi: non per le sue cene eleganti, ma perchè le continue forniture di decine e decine di ragazze di cui nemmeno sapeva il nome lo ponevano in una condizione insostenibile. Quella che ancor oggi lo costringe a mantenerle tutte, a botte di 2500 euro al mese, come se non bastassero i milioni che di tanto in tanto "deve "versare a Dell'Utri e a chissà quanti altri. Ma le vestali della privacy fingevano di non capire, anzi dicevano che il vero problema sono le intercettazioni. E invocavano la legge bavaglio, che vaga ancora per il Parlamento con tanto di ministri tecnici che ogni tanto vorrebbero riesumarla perchè "il problema esiste".
Per questo nessuno trae le necessarie conseguenze dal caso Petraeus: troppi bugiardi dovrebbero ammettere di aver raccontato agli italiani un sacco di balle.





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sabato 17 novembre

La leggenda del santo Briatore
di Marco Travaglio


Briatore, visto da vicino nello studio di Servizio Pubblico, è veramente adorabile. Ha un processo per un'evasione fiscale da 5 milioni e tuona contro il "fisco Dracula che succhia soldi ma non restituisce nulla" (li succhia agli altri, ovviamente). Porta occhiali da sole azzurrini, un doppiopetto modello Chicago anni 30, un paio di babbucce bicolori davvero notevoli e, mentre è lì, in studio, traffica sull'iPad per twittare con i prestigiosi Paola Perego e Red Ronnie: "Manichino della Coin pontifica" e "robe da matti". La Costamagna riepiloga il suo curriculum giudiziario e lui la chiama "maestrina" e la accusa di "dare lezioni", ignaro dell'esistenza di un oggetto per lui misterioso: il giornalismo. A chiunque obietti qualcosa, risponde che lui ha vinto 7 mondiali di Formula1 (poi naturalmente ne uscì per un caso di frode sportiva) e gli altri no: come quel suo amico che, al professor Spaventa candidato nel suo collegio a Milano, obiettò: "Prima provi a vincere un paio di coppe dei campioni". Un'analista seria come la Penelope tenta di spiegargli, dati alla mano, che le tasse sono alte perché metà dei contribuenti non le pagano, ma lui la liquida con un elegante "non rompere i maroni, sei qui per vendere il tuo libro, i tuoi numeri ce li giochiamo al lotto". In effetti lui coi numeri ha qualche difficoltà, fin da quando agguantò con una certa fatica (lo chiamavano "tribùla") il diploma di ragioniere in quel di Verzuolo (Cuneo). E la Costituzione è stata scritta "nel 1945, in quegli anni
lì no?", dunque è superata. Non conosce nemmeno la sua età, visto che spaccia per errori di gioventù ("avevo vent'anni") i due mandati di cattura per associazione a delinquere finalizzata alla truffa cui si sottrasse agilmente dandosi alla latitanza ai Caraibi e poi in Brasile. Era il 1984 e lui, essendo nato nel 1950, aveva 34 anni. Fu poi condannato a 4 anni e mezzo e salvato dall'amnistia. Lui liquida il tutto con la soave espressione "ho avuto un problema". Gli chiedono: quale? Risponde: "Gioco d'azzardo". Naturalmente nessuno si becca due arresti e 4 anni e mezzo per qualche partitella a carte. Se invece organizza, con una banda di bari, partite truccate di poker e chemin per spennare decine di polli e intascare centinaia di milioni, grazie anche a rapporti con il boss Tony Genovese, non è gioco: è truffa. E il truffatore, in un altro paese, resta marchiato a vita da una diffusa quanto comprensibile diffidenza: non perché chi sbaglia non possa rialzarsi, ma perché la gente ha buona memoria, specie nel mondo degli affari. In Italia invece ha tutte le porte spalancate, grazie a una vasta platea di polli sempre pronti a farsi spennare. Grandioso, nella sua eleganza, il gesto di fare la carità alla figlia del malato di Sla: "I 500 euro al mese per un anno glieli do io". Manca poco che il filantropo cuneese li tiri fuori di tasca a favore di telecamera, arrotolati.
Forse confonde l'elemosina con Lele Mora. Intanto chiama Landini "Maurizio", come un compare di bisbocce al Twiga o al Billionaire. L'impressione, vedendolo all'opera, è che sia addirittura in buona fede: cioè che creda davvero a quel che dice. Anche quando sostiene che la politica non gli interessa. Ma chi dice in pubblico che B. è il numero uno, "un brand", se non ha combinato nulla è "colpa della burocrazia" e dei "1200 parlamentari" (che sono 945), mentre in privato confida alla Santanchè "è malato, ha ragione Veronica, uno normale non fa 'ste robe qui (le cene eleganti, ndr), al
suo posto non dormirei la notte, ma non per le troie: per la situazione che c'è in Italia", è già un politico fatto e finito. Lui non imita Berlusconi: lui è Berlusconi, o almeno crede di esserlo. Noi, però, fra il Cavaliere di Hardcore e gli aspiranti eredi, compreso il Ragioniere di Verzuolo, continuiamo a preferire l'originale. I polli che ha spennato lui, gli altri se li sognano.





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domenica 18 novembre


Ere(c)tion Day
di Marco Travaglio


Forse un giorno, aprendo qualche cassetto o intercettando qualche telefono o raccogliendo le ultime volontà di qualche moribondo, sapremo chi e perché e
in cambio di cosa un anno fa promise un salvacondotto totale -- politico, giudiziario, televisivo, finanziario ed elettorale -- a Silvio B. Niente elezioni subito, altrimenti avrebbe stravinto il centrosinistra. Niente patrimoniale. Niente asta per le telefrequenze. Incredibili maneggi per mandare in prescrizione il processo Mills prima della sentenza di primo grado e incredibili acrobazie giurisprudenziali per annullare in Cassazione la condanna di Dell'Utri per mafia. Finta legge anticorruzione, finto decreto sull'incandidabilità dei condannati, finta lotta all'evasione fiscale, e naturalmente nessuna legge sul falso in bilancio e sul conflitto d'interessi. Il tutto perché il Pdl, che nel Paese veleggia a ritroso verso il 10 per cento grazie ai disastri di B. e alla faccia di Alfano, rimane il primo partito in un solo luogo sull'orbe terracqueo: il Parlamento italiano. E non è finita, perché ora c'è il golpetto dell'Election Day, deciso con aria dolente da Napolitano nel vertice-bocciofila con Monti, Fini e Schifani, per spostare in avanti le regionali in Lombardia, Lazio e Molise (da dicembre al 10 marzo) e le politiche all'indietro (dalla data naturale di aprile), con la scusa di risparmiare 100 milioni. Una barzelletta, visto che -- come spiega Nicola Zingaretti -- prorogare le caste regionali nullafacenti nei tre consigli sciolti, di milioni ce ne costerà 60. I veri scopi dell'Election Day, anche se nessuno li confessa, sono ben altri.
1) Risparmiare all'agonizzante B. una doppia sconfitta, perché è meglio perdere una sola volta tutto insieme che tracollare prima alle regionali (in tre regioni rette fin qui dal Pdl) e poi ancor di più alle politiche.
2) Rubare un mesetto all'ascesa di 5Stelle, che cresce di 1-2 punti al mese e metterebbe le ali dopo una prevedibile vittoria alle regionali.
3) Far gestire la formazione del nuovo governo al presidente Napolitano in scadenza,
visto che quest'ultimo non fa mistero di voler lasciare a Palazzo Chigi l'unico leader che non si candida alle elezioni, chiunque le vinca: Monti. Si dirà: dov'è il golpetto? Beh, in un paio di quisquilie denunciate anche da un giurista molto vicino al Colle (l'ha difeso oltre ogni limite di decenza sul conflitto di attribuzioni contro la Procura di Palermo): Gianluigi Pellegrino, che su Repubblica parla di "abuso di potere" e "cedimento a un ricatto". Il ricatto è quello del Pdl che minacciava di far cadere anzitempo il governo se non si fosse votato quando voleva B., e che gli altri partiti (tranne la Bonino e compreso Bersani che s'è tardivamente accodato) hanno prontamente accettato. L'abuso è la violazione della legge che, come ha confermato la Corte costituzionale, impone di rinnovare i consigli regionali entro 90 giorni dal suo scioglimento. Così aveva stabilito anche il Tar sul caso Lazio e su questa sentenza, dopo la sospensiva cautelare dell'altro giorno, deve ancora pronunciarsi il Consiglio di Stato il 27 novembre: con quale serenità i giudici sentenzieranno, visto che il Colle ha già individuato il 10 marzo come "data più appropriata"? C'è anche di più. Per sciogliere anzitempo le Camere senza un voto di sfiducia al governo, unica condizione che farebbe venir meno la maggioranza parlamentare, Napolitano pone una condizione: la legge elettorale, che lui dovrebbe limitarsi a promulgare e non ha alcun potere di invocare. Cioè il Superporcellum che non fa vincere nessuno, né il Pd né Grillo, ma solo Monti e rende decisivo B. anche nella prossima legislatura, resuscitandolo da morte (politica) sicura. Un giorno, forse, sapremo perché. A che prezzo, invece, lo vediamo tutti.





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martedì 20 novembre

Le sue pigioni
di Marco Travaglio



In attesa di sapere se sappiamo proprio tutto del sequestro più pazzo del mondo, quello del ragionier Spinelli ("Spinaus" per gli amici e soprattutto le amiche), un elemento balza subito agli occhi: i rapitori dovevano conoscere davvero bene non solo i movimenti di Spinaus, ma anche l'indole profonda del Caimano. Intanto sapevano benissimo che, chiamato al telefono dal suo contabile e accortosi -- come dice lo stesso Spinelli ai pm -- che era tenuto in ostaggio da qualcuno, non avrebbe avvertito le forze dell'ordine (come nel 1975, quando evitò accuratamente di denunciare il primo attentato alla sua villa di via Rovani a Milano). Sapevano anche di potergli tranquillamente chiedere un riscatto senza timore di essere denunciati. Forse avevano letto le intercettazioni del 1986, quando B., subito dopo il secondo l'attentato in via Rovani, chiamò Dell'Utri per attribuirne la colpa all'amico Mangano ("un segnale acustico... ma fatto con molto rispetto, quasi con affetto") e raccontare di aver detto ai carabinieri: "Se (Mangano) mi avesse telefonato, io 30 milioni glieli davo!". O quelle del 1988 con l'immobiliarista Renato Della Valle, a cui B. confidò che la mafia minacciava di uccidere Piersilvio, ma lui naturalmente non aveva denunciato nulla, anzi: "Se fossi sicuro di togliermi questa roba dalle palle, pagherei tranquillo, così almeno non rompono più i coglioni". O magari hanno letto la sentenza della Cassazione su Dell'Utri: fin dai primi anni 70 "Berlusconi raggiunse un accordo di natura protettiva e collaborativa con la mafia per il tramite di Dell'Utri" e pagò "cospicue somme a Cosa Nostra" senza mai denunciare alcuna estorsione. Di sicuro i sequestratori conoscevano i punti deboli di B.: siccome Dell'Utri per sua fortuna ha la scorta, era più semplice acciuffare Spinelli, l'altro custode di altrettanti segreti, non solo quelli di via Olgettina. E soprattutto sapevano quale esca usare per farlo abboccare all'amo e scucirgli qualche milioncino. Basta frullare insieme le parole-chiave Fini, giudici, De Benedetti, lodo Mondadori, Ruby e il gioco è fatto (poi purtroppo il capobanda
ha voluto esagerare con le scarpette rossonere del Milan, e s'è tradito). Spinelli racconta che, di fronte alla "rivelazione" di un complotto di Fini e dei giudici del lodo Mondadori, gli avvocati Ghedini e Longo scoppiarono a ridere, ritenendo impossibile che il presidente della Camera potesse (o volesse) pilotare il Tribunale di Milano. Ma il loro illustre cliente, come diceva Montanelli, "è un bugiardo sincero: crede alle bugie che racconta".
Dunque questi rapitori sono anche dei sottili psicologi: sapevano che, per lui, Fini l'ha mollato a causa di un complotto, non semplicemente perché non ne poteva più di votare leggi vergogna; e, per lui, è a causa di un complotto se il Tribunale l'ha condannato a risarcire l'Ingegnere per lo scippo Mondadori, non semplicemente perché la sentenza che annullava il lodo l'aveva comprata Previti con soldi suoi. Insomma, sono andati sul sicuro. Il fatto, poi, che fossero dei pregiudicati li rendeva ai suoi occhi più affidabili: come fossero di casa. Lui ha provato a farli scappare, ritardando di 16 ore la denuncia del sequestro ("fatto con molto rispetto, quasi con affetto"). Purtroppo non è riuscito ad abolire le intercettazioni e a estirpare quel cancro della Boccassini, così quelli sono finiti in galera. Resta il fatto che ormai il primo che passa, anche un albanese, può chiedergli ciò che vuole (soldi, gioielli, donazioni, candidature, affitti gratis, acquisti di ville a prezzo doppio) dicendo di sapere qualcosa di lui: e il pover'ometto, nel dubbio che sia vero, paga. Ecco perché si rifugia sempre più spesso in Kenya. Se resta due giorni di seguito in Italia, lo spolpano. Per lui Briatore è la madonna consolatrice degli afflitti. Anzi, degli affitti.




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